Harvard Business School, 2004. È qui che, per la prima volta, sulla rivista studentesca Harbus, compare la parola “FOMO”, ovvero “fear of missing out” “paura di perdere qualcosa”. L’articolo, firmato dallo studente Patrick J. McGinnis, definisce la FOMO come “un’ansia crescente perché qualcun altro potrebbe stare godendo di qualcosa di meglio al di fuori di ciò che si sta facendo in questo momento“. Qualche tempo più tardi, il ricercatore dell’Università di Oxford, Andrew Przybylski, riprende il concetto, pubblicando l’articolo “Motivational, emotional, and behavioral correlates of fear of missing out,” (Computers in Human Behavior, 2013). Przybylski collega il tempo trascorso sui social media con la FOMO e sostiene che l’uso pervasivo dei nuovi canali di comunicazione aumenta la paura di restare esclusi da determinate dinamiche, rendendo gli esseri umani sempre più insoddisfatti.
Il mondo del lavoro non è esente dalla FOMO, anzi: mai come oggi, sperimenta livelli elevati di disorientamento e in alcuni casi disallineamento tra il ruolo ricoperto da ogni persona e le competenze richieste per svolgere tali mansioni o il contesto in cui si è chiamati a lavorare. Con l’avanzamento tecnologico (Gen AI in primis) che corre parallelamente all’invecchiamento del capitale umano, la FOMO rischia addirittura di trasformarsi in FOBO – Fear of becoming obsolete, ovvero in “paura di diventare obsoleti”. Un timore che accomuna soprattutto le generazioni più senior e che richiede massima attenzione da parte dei vertici delle aziende e di chi si occupa di HR.
Alle origini della FOMO
La tecnologia è senza dubbio il primo nutrimento della FOMO. È comprensibile che le organizzazioni vogliano tendere a una digitalizzazione sempre maggiore introducendo strumenti e soluzioni avanzate che consentono di efficientare le attività, ma tutto questo può generare spaesamento nel capitale umano che può sentirsi impreparato o inadatto all’uso di determinati tool. Per questo, è essenziale mappare le competenze possedute e predisporre piani di sviluppo delle skills affinché tutti si sentano inclusi nell’adozione di una nuova tecnologia. Se, quindi, per il futuro del lavoro è indispensabile investire in innovazione, altrettanto cruciale è diffondere cultura e competenze (hard e soft) che possano sostenere tale avanzamento.
In altri casi, invece, la FOMO ha radici molto più profonde e, di conseguenza, ripercussioni più marcate. Potrebbe essere legata, infatti, a un disallineamento rispetto ai valori dell’azienda o all’adozione di nuove policy. Pensiamo, ad esempio, all’introduzione dello smart o remote working: se alcune generazioni ritengono questa modalità lavorativa quasi “nativa”, per altre è un’assoluta novità che altera il modus operandi seguito da sempre. Ritrovarsi a lavorare da soli, dalla propria abitazione o da qualsiasi altro luogo che non sia un ufficio, può far sentire esclusi, come se “si stesse perdendo qualcosa”, di conseguenza distanti dalla nuova identità aziendale e dalle nuove dinamiche relazionali. Sono evoluzioni sottili e spesso non semplici da riconoscere, per questo l’utilizzo di alcuni tool di sentiment e ascolto dello stato d’animo della propria popolazione aziendale, potrebbero essere particolarmente consigliati.
Le conseguenze della FOMO
Se trascurata, la FOMO può facilitare l’abbandono, ma un elevato turnover significa costi crescenti per un’azienda. Nella gestione delle risorse umane, dunque, è importante comprendere le dinamiche emotive e sociali che si sviluppano sul posto di lavoro e garantire sia una comunicazione aperta che un coaching di carriera che aiuti le persone a superare i sentimenti di ansia e stress generati dai cambiamenti e a prendere decisioni più informate e in linea con i propri obiettivi di carriera. Questo significa agire già in fase di selezione, favorendo il giusto matching tra le competenze tecniche e di mindset possedute dalla o dal candidato e la posizione da ricoprire. In questo percorso, l’AI potrebbe essere un valido strumento di supporto alle decisioni, anche per identificare le opportunità di sviluppo e formazione più in linea per il profilo in questione.
Ricordiamo, inoltre, che in alcuni casi la FOMO può avere anche un impatto positivo: anziché abbattere la produttività, può alimentare la voglia di crescita personale e professionale. Per questo è importante che il reparto HR sia in ascolto di determinate dinamiche e intervenga per soddisfare tale bisogno, supportando le persone con programmi ad hoc di avanzamento e formazione. Corsi e certificazioni, infatti, contribuiscono a generare un senso di avanzamento e realizzazione nel singolo, mettendo a tacere la FOMO. Un’altra strategia efficace è quella del feedback, ovvero: dare un riscontro costruttivo e fornire chiarimenti rispetto alle opportunità interne di sviluppo professionale.
FOMO e Recruiting
Attenzione: la FOMO può manifestarsi anche durante il recruiting, sia per i candidati che per gli addetti ai lavori.
Se i candidati non vengono seguiti e valorizzati durante la selezione, possono decidere di rifiutare una determinata proposta confidando nell’arrivo un’azienda più interessata alla loro professionalità. In loro, potrebbe farsi strada l’annoso “what if…?”, ovvero: “E se… scegliessi l’altra azienda?”. Un approccio diverso, supportato anche dall’uso di specifiche tecnologie, potrebbe aiutare i recruiter a colmare questo gap e a creare legami più solidi e coinvolgenti con i singoli candidati, limitando l’effetto FOMO.
Al contempo, gli stessi recruiter possono sperimentare in prima persona la fear of missing out. Per paura che ci sia una candidatura migliore all’orizzonte rispetto a quelle che hanno già sul tavolo, potrebbero rallentare il processo di assunzione, mettendo in stand by anche ottimi profili. Il rischio maggiore è evidente: far perdere di interesse anche a chi si era inizialmente candidato, lasciando l’azienda del tutto priva di opportunità.
Non lasciare nessuno indietro
Arginare la FOMO richiede quindi un mix sapiente di sensibilità e strumenti: dall’ascolto attivo all’uso di tool che possono creare un ambiente di lavoro inclusivo, coinvolgente e fidelizzante, in cui non si ha paura di sentirsi esclusi rispetto alle novità.
Nella grande trasformazione che il mondo del lavoro sta affrontando dal punto di vista delle tecnologie, dei processi e della cultura, quindi, non possiamo che prendere a prestito la strategia di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite: “Leave no one behind”. “Non lasciamo nessuno indietro”.