Sono 3.6 milioni gli italiani che durante il 2022 hanno lavorato in smart working. Nel 2019 erano poco più di mezzo milione, e il trend, per il 2023, è previsto in crescita. Del resto, oggi, alla flessibilità non si rinuncia più.
L’ultima conferma arriva dall’Osservatorio Smart Working, promosso dal Politecnico di Milano, che ha analizzato non solo la popolazione di lavoratori soggetta a politiche di Smart Working, ma anche i benefici economici e sociali e le opportunità per le aziende, nei contesti di recruiting ed employment branding. Secondo l’analisi del Politecnico di Milano, i lavoratori che hanno possibilità di lavorare da remoto e ai quali è garantita flessibilità nella gestione degli orari di lavoro, mostrano livelli di benessere ed engagement più elevati di chi lavora in sede e, soprattutto, di chi lavora da remoto senza altre forme di flessibilità.
Lo Smart Working è ormai presente nel 91% delle grandi imprese italiane (era l’81% nel 2021), mediamente con 9,5 giorni di lavoro da remoto al mese. Nelle PMI, invece, si registra qualche passo indietro: dal 53% al 48% delle realtà, in media per circa 4,5 giorni al mese. Qui, a incidere è la cultura organizzativa che privilegia il controllo alla fiducia.
«Attenzione però: – avverte l’esperto di futuro del lavoro e founder di Radical HR, Alessandro Rimassa – sostenere che il rientro in ufficio serva a stimolare una maggiore adesione alla cultura aziendale è una scusa. In questa fase abbiamo la possibilità di fare la differenza, perciò: usciamo dalle nostre zone di confort e abbracciamo l’innovazione». La chiave, secondo l’esperto, sta nella diversità: «Non esiste una regola universale per lo smart working: all’interno della stessa azienda dovranno convivere modelli diversi tra loro. Ogni persona sceglierà dove e come lavorare. Tutto questo dovrà portarci a ridefinire i contratti, ovviamente, ma alla fine il beneficio sarà enorme. Le aziende saranno più attrattive e i talenti più motivati».
Le politiche di smart working assumono, infatti, una forte importanza in fase di recruiting e di employment branding: la possibilità di lavorare da remoto risulta determinante nelle scelte dei candidati e rappresenta un criterio di valutazione rispetto alla retention aziendale. Secondo una recente analisi di Deloitte dedicata a Gen Z e Millennials, il lavoro da remoto o ibrido permette un migliore equilibrio con la vita privata, consente di ridurre le spese legate al pendolarismo e all’acquisto di abiti da lavoro, rende più produttivi e fa bene alla salute mentale. Un tema sempre più importante per i giovani.
L’Osservatorio del Politecnico di Milano evidenzia inoltre come lo Smart Working abbia numerosi vantaggi anche per le aziende (oltre alla già citata talent attraction e retention): riduce i consumi e ottimizza l’utilizzo degli spazi isolando aree inutilizzate, con un risparmio potenziale di circa 500 euro l’anno per ciascuna postazione. Non solo: fa bene anche all’ambiente, riducendo le emissioni di CO2 di circa 450 Kg annui per persona. Considerando il numero degli smart worker attuali pari a 3.570.000, afferma l’Osservatorio, l’impatto a livello di sistema Paese è pari a 1.500.000 Ton annue di CO2, circa la quantità assorbita da un bosco otto volte più esteso del comune di Milano.
Venendo invece al tema benessere e coinvolgimento, lo Smart Working fa bene soprattutto se paragonato a modalità di lavoro esclusivamente “on-site” o “full remote”. Al centro di tutto deve esserci, in sostanza, la flessibilità sia di luogo sia oraria. A queste condizioni, i lavoratori smart worker intervistati dall’Osservatorio affermano di essere “pienamente ingaggiati”. Per ottenere i benefici ricercati è quindi indispensabile sperimentare nuovi modelli.
«Spesso, l’applicazione delle nuove modalità di lavoro si è concretizzata con l’introduzione del solo lavoro da remoto, che ha consentito di gestire le emergenze e supportare il work-life balance delle persone, ma che non rappresenta un ripensamento del modello di organizzazione del lavoro. – spiega Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working -. È il momento di riflettere su cosa sia il “vero Smart Working”, che deve essere l’occasione per attuare un cambiamento più profondo, incentrato sul lavoro per obiettivi e una digitalizzazione intelligente delle attività».
In questo contesto, una comunicazione trasparente delle policy di smart working e una corretta implementazione delle stesse, possono fare la differenza nell’intera esperienza HR, a partire dalla fase di recruiting ed onboarding. Alcune delle attività che un’azienda può fare per comunicare, in maniera efficace, le proprie politiche organizzative sono:
- indicare lo smart working già nell’annuncio di lavoro: comunicare le opportunità di lavoro in smart working nell’annuncio sulle piattaforme può fare la differenza nell’attrarre i talenti. La possibilità di lavorare in smart working può essere messa anche nel titolo, con una sintesi delle modalità (ad esempio “2 giorni / smart working”);
- riportare le policy di smart working nel contratto: il contratto di lavoro dovrà riportare nel dettaglio le modalità di attivazione dello smart working, incluse le diverse casistiche, come la distanza consentita dal luogo di lavoro o come gestire i casi di reperibilità;
- rafforzare il legame tra smart working e crescita: i lavoratori già assunti possono sentirsi maggiormente coinvolti nel vedere lo smart working come un’opportunità di libertà e crescita professionale. In questo contesto è importante comunicare frequentemente i risultati generati in azienda, allineare tutti sugli obiettivi e sui goal da raggiungere, educare collaboratori e manager al lavoro da remoto, nonché fornire strumenti e contenuti di formazione.
Oggi, lavorare smart non è più solo un’opzione, è un must have. Secondo McKinsey , infatti, se posti di fronte a una scelta sulle modalità lavorative, oltre l’87% dei lavoratori americani sceglierebbe lo smart working. Una statistica destinata a replicarsi in Italia. Per questo, soprattutto in una fase di grandi dimissioni e quite quitting, è sempre più importante che le aziende siano pronte a cogliere l’opportunità del lavoro smart, leva cruciale di attrazione e coinvolgimento dei talenti.