Recentemente è uscito un articolo su un quotidiano italiano dove è stato richiesto ad Enrico Ariotti, CEO e co-founder din nCore, di condividere la sua visione sul rapporto tra persone e la tecnologia nell’ambito HR.
Il presente articolo riassume e riporta le principali considerazioni sul cambiamento del mondo del recruiting dovuto all’accellerazione del potenziamento tecnologico.
Il mondo del lavoro è in subbuglio, scosso da fenomeni come le dimissioni di massa (great resignation) e dall’incalzare dell’innovazione tecnologica.
L’onda anomala dell’abbandono del posto di lavoro da parte di milioni di persone si è abbattuta sugli Stati Uniti e ha toccato anche l’Italia. Mentre nella “seconda età delle macchine” (Erik Brynjolfsson – Andrew McAfee), robot e intelligenza artificiale (IA) acquisiscono, a grande velocità, nuove capacità e competenze in modo da sfidare l’occupazione umana in molte più attività.
In questo nuovo contesto, il settore del recruiting cerca di tracciare nuove strade, rispondendo a mutate condizioni e bisogni.
Accelerazione del progresso tecnologico
Per Enrico Ariotti “siamo di fronte a un’accelerazione pazzesca dello sviluppo della tecnologia”.
Quello in corso è un sommovimento profondo che, da un lato, crea squilibri e disarmonie, e, dall’altro, concede però la possibilità di ristabilire un vantaggio per il fattore umano.
Va detto che i moderni processi di digitalizzazione e automazione, in un ambito di “next production revolution” (Ocse), determinano, finora, più che “disoccupazione tecnologica” di massa, la crisi dei lavori con mansioni più ripetitive (routinarie), favorendo la posizione di chi ha competenze specialistiche (Alexandre Georgieff e Anna Milanez : What happened to jobs at high risk of automation?).
La qual cosa provoca comunque un contraccolpo sociale che richiede capacità di gestione, o di domesticazione della tecnica, e di adeguamento alla nuova realtà.
Tecnologia umano-centrica
In questo passaggio storico, che è quello della incipiente quinta rivoluzione industriale, emerge un nuovo paradigma di cooperazione e interazione tra esseri umani e macchine. In altre parole, invece che competere contro robot e IA, prende piede l’idea che sia meglio collaborare con tecnologie sempre più smart, riconducendole sotto una dimensione e una cornice umana, per acquisirne i maggiori benefici e neutralizzarne gli impatti negativi.
Insomma, è in corso un cambio di prospettiva, in un’ottica di human-centered technology, che implica un futuro in cui l’apparato tecnologico serva meglio i bisogni umani (Ben Shneiderman).
L’esigenza di mettere in primo piano la persona, rispetto ai rischi del progredire della tecnica, rappresenta una sfida sempre più pressante per le aziende, secondo i ricercatori del Fraunhofer-Gesellschaft.
E’ vero, secondo Enrico Ariotti, che è necessario “governare tecnologie molto potenti” per indirizzarle a supporto della persona. Ma la tecnologia non potrà mai sostituire la creatività umana. Certe qualità, e certi aspetti come esperienza e storia, del singolo individuo non sono digitalizzabili – spiega Ariotti.
Inoltre, la tecnica che aiuta l’uomo nella sua attività, può e deve essere un abilitatore, ma deve incontrare un limite nella sfera decisionale : la decisione non può che spettare all’essere umano, sottolinea con forza Enrico Ariotti. Nel recruiting, si ha a che fare con persone (non dei meri dati) che non possono essere definite da un algoritmo.
Tecnica come potenziamento
Il rapporto con la tecnologia non può e non deve essere concepito come un gioco al ribasso. La concorrenza con la tecnica è un “continuo alzare l’asticella”, per Ariotti. All’uomo non deve essere sottratto qualcosa ma aggiunto un di più dalla tecnica.
Basta guardare al settore della medicina. In questo campo, ci sono esempi di nitidi di come la tecnologia sia in grado di potenziare l’essere umano ampliando e sviluppando le sue possibilità di intervento sulla realtà. In ambito medico e nella pratica clinica, gli algoritmi di machine learning vengono utilizzati per riconoscere e individuare con maggiore efficacia ictus cerebrali e tumori. Oppure, per identificare patologie cardiache.
Anche nella chirurgia robotica (vedi il sistema da Vinci) l’innovazione tecnologica permette di aumentare precisione e sicurezza, nonché ridurre effetti negativi sul paziente nel corso dell’operazione. Per di più, il chirurgo può svolgere la sua attività da remoto manovrando i sistemi robotici a distanza. Questa è una tecnologia che non sostituisce l’uomo – commenta Ariotti – ma lo aiuta a risolvere meglio i problemi.
E in questo caso, fa notare, “abilitiamo due scenari diversi : un chirurgo può operare in continenti diversi e in smart working”.
Allo stesso modo, una innovazione come il metaverso, introdotta nell’ambito della selezione del personale, potrebbe consentire la formazione a distanza e il re-skilling anche su mestieri che richiedono manualità come il saldatore, figura di cui c’è penuria nel mercato del lavoro italiano.
Togliere, dare, trasformare
Va comunque distinto nel bilancio della relazione uomo/tecnica ciò che si perde, ciò che si acquista e ciò che semplicemente si trasforma.
Come nello scrivere anche nella chirurgia l‘attività umana resta mediata dal mezzo tecnologico che però cambia : dalla penna alla tastiera, dal bisturi al braccio robotico. L’ambiente tecnico, cioè, tende a trasformarsi con l’innovazione, e diventa una realtà rispetto alla quale s’impone un adattamento.
Possiamo pensare che, secondo Ariotti, di fronte a mutamenti come l’automobile autonoma possiamo essere liberati dal peso della guida immaginando una nuova condizione di viaggio : meno rischi e più sicurezza e possibilità di svolgere contemporaneamente altre attività.
Si cede qualcosa alla tecnologia ma si guadagna, contemporaneamente, su altri piani.
L’uomo è certamente sfidato dalla tecnica ma, per Ariotti, ha dalla sua parte creatività e curiosità : senza questi due elementi si diventa una pedina della tecnologia.