C’è chi cerca e non trova. E chi, al contrario, ha fin troppe possibilità tra cui scegliere. Il mercato del lavoro non è mai stato così polarizzato: se da un lato, per alcune posizioni (vedi: STEM e digital) le aziende hanno una grande fame di competenze che resta, per lo più, insoddisfatta; dall’altro, in aree come comunicazione e marketing, si rischia di fare indigestione non solo di skills, ma anche di curricola. È indispensabile, quindi, associare a ogni candidato una precisa strategia di recruiting. Come? Andiamo con ordine.
Le professioni in crescita in Italia, secondo LinkedIn
Secondo l’indagine annuale di LinkedIn, “Jobs on the Rise”, le competenze richieste per determinate professioni sono cambiate del 25% negli ultimi 8 anni e potrebbero cambiare del 65% entro il 2030, a seguito della spinta dell’intelligenza artificiale generativa. Una rivoluzione che riguarda sia chi dovrà riposizionarsi sul mercato del lavoro, sia chi non ha intenzione di cercare un’occupazione diversa dalla precedente. Come ha affermato lo stesso amministratore delegato di LinkedIn, Ryan Roslansky, infatti, “Jobs are changing on you, even if you’re not changing jobs”.
La classifica stilata da LinkedIn circa le posizioni in crescita in Italia, vede in testa l’Addetto allo sviluppo commerciale, soprattutto nel campo delle tecnologie e dei servizi IT. Segue l’Ingegnere dell’intelligenza artificiale, ovvero colui che è chiamato a usare l’AI e i modelli di apprendimento automatico per sviluppare soluzioni che possono aiutare le aziende a essere più efficienti. Al terzo posto sul podio, c’è l’analista SOC o il cyber security analyst, seguito da sustainability specialist, cloud engineer, data engineer, responsabile acquisti, cyber security engineer e consulente cloud. Tutte queste professioni condividono la padronanza di skills in IT e digital, in big data e computer vision, in machine learning e nell’elaborazione del linguaggio naturale.
I titoli che mancano
L’analisi della rete professionale più grande al mondo va di pari passo con quella di Unioncamere che, per il quinquennio 2023-2027, prevede un fabbisogno di circa 3,8 milioni di lavoratori, il 72% dei quali sostituiranno gli occupati in uscita dal mercato del lavoro. Guardando nello specifico ai titoli richiesti, secondo Unioncamere, il 34,3% del fabbisogno occupazionale previsto nei prossimi 5 anni riguarderà personale con un livello di formazione terziaria (universitaria o professionalizzante) e il 48,1% profili con un livello di formazione secondaria. Ma non sarà facile trovare candidati con queste caratteristiche.
Il bollettino prevede una carenza marcata di offerta di laureati nell’indirizzo medico-sanitario (mancheranno 12mila laureati ogni anno), in quello economico-statistico (8mila unità annue) e nelle discipline STEM (6mila unità annue). Ma potrebbero restare scoperte anche il 40% delle posizioni che richiedono competenze tecniche e di formazione secondaria, con livelli di mismatch più critici in trasporti e logistica, costruzioni, sistema moda, meccatronica, meccanica ed energia.
Attenzione, perché questa frattura ha chiare ricadute in termini economici. Per il solo 2022 Unioncamere ha stimato una perdita di valore aggiunto, causata dal mismatch tra domanda e offerta di lavoro, pari a circa 38 miliardi di euro.
A ogni candidato, la sua strategia
Capire quali sono le professionalità in crescita e quelle in cui c’è maggiore mancanza di competenze è fondamentale per riuscire a orientare correttamente le proprie strategie di recruiting. A seconda della tipologia di candidato, infatti, bisogna mettere in campo modalità di ricerca e assunzioni diverse.
Nel caso di posizioni afferenti all’area digital, in cui la disponibilità di candidati è minore, sarà possibile rivolgersi a headhunter professionisti che potranno supportare l’impresa nella ricerca del talento. È importante tenere presente, infatti, che i candidati con abilità ed esperienza nelle posizioni in crescita sul mercato del lavoro avranno maggiori possibilità di scelta. Di conseguenza, il paradigma del recruiting tenderà a invertirsi: saranno i candidati a decidere per chi lavorare, e non viceversa.
Parliamo di profili solitamente internazionali che possono spendere le proprie competenze non solo in Italia. Il raggio della competizione (per le aziende), si fa decisamente più ampio. Sarà cruciale capire come attrarre e trattenere questi candidati: la leva economica sarà importante, ma potrebbe non essere determinante rispetto ad altri valori come attenzione alla work life integration, impegno dell’impresa negli ESG, allineamento al purpose aziendale, e molto altro.
Un’opzione potrebbe essere quella del “talent spotting”, ovvero selezionare i candidati valutandone il potenziale di crescita. Adottare un approccio di questo tipo significa ragionare sul lungo termine, immaginando non il ruolo, ma i ruoli che quella persona potrebbe andare a svolgere. Va da sé che per attivare una strategia di questo tipo, l’azienda deve conoscere a fondo se stessa e avere ben chiare quali sono le posizioni attualmente vacanti e quelle che potrebbero liberarsi o nascere ex novo in futuro.
In questo contesto, inoltre, la tecnologia può giocare un ruolo essenziale. I sistemi di VMS o Vendor Management, ad esempio, consentono di gestire al meglio il reclutamento del personale in outsourcing, in tempi rapidi e con un monitoraggio più efficiente di tutti i processi di assunzione. I VMS, infatti, valutano le performance delle agenzie che si occupano delle singole ricerche, permettono di ottenere rapidamente dettagli su alcuni fattori cruciali come le competenze professionali, i titoli di studio, l’esperienza lavorativa, lo stipendio, la sede di lavoro, la natura dell’impiego, e molto altro, e facilitano le comunicazioni.
Nel caso di posizioni con un’ampia offerta di candidature, l’aiuto della tecnologia può essere ancora più efficace perché può aiutare i recruiter a identificare le candidature più in linea con gli annunci. Pensiamo, ad esempio, a strumenti come: le video interviste, che consentono di analizzare le competenze relazionali e le soft skills dei candidati; gli assessment con prove di varia natura (dall’autopresentazione alla gestione di una situazione complessa, dal rapporto con il team alla soluzione di un business game, fino a un colloquio individuale), fino all’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale che può facilitare la ricerca del candidato perfetto attraverso l’AI Matching. Ognuno di questi strumenti consentirà all’azienda di identificare il profilo migliore in termini di hard e soft skills, efficientando lo screening dei cv e stilando, attraverso una serie di domande mirate, una graduatoria dei candidati.
La nuova era del potenziale
In definitiva, come ha spiegato Claudio Fernández-Aráoz, uno dei più influenti consulenti di ricerca esecutiva al mondo in un interessante articolo di Harward Business Review, siamo all’alba di una nuova era del recruiting, in cui l’attenzione deve spostarsi sul potenziale.
In un ambiente volatile, incerto, complesso e ambiguo (VUCA è l’acronimo militare trasformato in parola d’ordine aziendale), la selezione basata solo sulle competenze potrebbe non bastare più. Ciò che rende un candidato perfetto per un particolare ruolo oggi, potrebbe non renderlo altrettanto efficace domani.
Dunque, la domanda da porsi non è se stiamo assumendo la persona con le competenze migliori, ma se stiamo assumendo la persona che ha il miglior potenziale per impararne di nuove.