Quali sono le sfide del candidate-centric recruiting in un mercato del lavoro in continuo cambiamento e connotato sempre più dall’innovazione tecnologica? E’ l’interrogativo su cui è ruotato il Phygital Talk condotto da Enrico Ariotti, Ceo e Co-founder di nCore HR, che si è tenuto il 17 novembre nell’ambito del Forum Risorse Umane 2022.
La discussione è stata a più voci, animata dagli interventi di Francesco Caccavo, HR Director di Douglas Italia, Giovanni Iacobelli, Head Digital HR & Business Process Framework Gruppo Tim – Telecom Italia e Laura Sanzi, Head of Talent Attraction Tools Enel.
La logica e le dinamiche di accelerazione del processo di trasformazione del settore HR impongono una presa d’atto e al tempo stesso un fermo immagine. Nella fotografia che ritrae lo stato attuale per il recruiting c’è la persona al centro, come lo You internettiano nella copertina del Time del 2006 verrebbe da dire, che – chiarisce Enrico Ariotti nella veste di intervistatore e demiurgo del dibattitto – è un tema non nuovo ma diventa sempre più determinante per le aziende.
Per Laura Sanzi, chiamata per prima a intervenire da Enrico Ariotti, mettere al centro la persona significa ricercarne la passione, qui naturalmente intesa come impulso positivo, e trasporto verso una posizione lavorativa. “Nel nostro processo di selezione facciamo della passione di un candidato un fattore premiante e di scelta” – spiega la Head of Talent Attraction Tools di Enel. In questo punto di vista, c’è evidentemente una messa fuoco di un modello candidate-centric nel momento in cui si sottolinea anche il fatto che “il candidato sceglie un’azienda se può contribuire alla vision e alla mission aziendale e può ovviamente essere incisivo”.
Talento e Persona
L’idea del talento, fa capire Enrico Ariotti, in questo passaggio cruciale di centralità della persona, viene ridimensionata e un po’ messa da parte. Anzi, a dire il vero, viene riscritta, evolve perché, come precisa Laura Sanzi, adesso la persona è il talento al quale l’azienda mette a disposizione “un ambiente dove può fiorire, emergere e fare la differenza”.
Ma il talento viene “annacquato” anche nel contesto di una grande azienda con tanti dipendenti – parole di Francesco Caccavo, HR Director di Douglas Italia, secondo cui la sfida del recruiter è “capire se la persona potrà diventare un talento” e potrà crescere nello specifico contesto aziendale. Il sistema di recruiting, in questa ottica, è decisivo in quanto deve essere in grado di selezionare persone che, anche se non corrispondono esattamente ai requisiti di job ricercati, potranno essere performanti ed esprimere pienamente il loro talento in prospettiva.
Ecco, la persona, sotto questo aspetto, rimodella i sistemi e anche la tecnologia e le sue applicazioni. Piattaforme come nCore, chiarisce Enrico Ariotti, devono rispondere a questa centralità nuova della persona essendo in grado di applicarsi su tutti i candidati, quelli che saranno scelti e quelli che non lo saranno.
Recruiter come Career Coach
In un altro scatto fissato nella discussione, abbiamo l’immagine di un recruiter sempre più nei panni di career coach.
“Il sistema di recruiting sta diventando sempre più un’esperienza di career coaching, abilitata dalle tecnologie, e il candidato non è più un seeker ma un desired” – sostiene in maniera icastica Giovanni Iacobelli, Head Digital HR & Business Process Framework Gruppo Tim.
L’approccio al candidato cambia – rimarca Giovanni Iacobelli – facendogli vivere un’esperienza “che sia completa”: dalle informazioni sui valori aziendali a un’ambiente di simulazione per prepararlo e verificare già prima se sia pronto a sposare ciò che l’azienda gli sta offrendo. L‘ATS a supporto di questo processo tende a divenire un CRM dove la C sta per Candidato che rimane in database e deve essere tenuto “ingaggiato” anche se non scelto. Sempre in armonia con una istanza di rigoroso e coerente rispetto della persona nella cui relazione si gioca pure il tema dell’employer branding.
La professione del recruiter, perciò, cambia eccome rispetto al passato. E, al fondo, rimane il fatto che si “gestiscono persone” che siano candidati, top manager o semplici dipendenti – rileva Francesco Caccavo. Persone con le quali si esercita la “leadership generosa“, così la definisce Laura Sanzi, di un recruiting che è sempre più lavoro di coach in grado di aprirsi a uno scambio paritario e trasparente per seguire e accompagnare all’empowerment il candidato.